LE VIA DELLA SETA

 

 

 

 

 

 

 

 trekking_i0000b5                            seta

         

Il primo libro sulla Via Cinese della Seta scritto nel 1984.

La spedizione di Trekking International è stata la prima a percorre la Via della Seta cinese

fino Kasghar, al lago Karakul e al Muz Tagh Ata (scalata sci alpinistica e periplo della montagna in cammello).

 

 

gruppo pamir 1  nella yurta

Il gruppo dei partecipanti alla prima spedizione al Pamir e compleanno con brindisi in una yurta kirghiza. In primo piano a sinistra Beppe Tenti.

 

marco polo

Una curiosità: la Croazia ha aperto il museo di "Marko" Polo nell'isola di Curzola considerandolo a tutti gli effetti croato.

A Curzola si troverebbe infatti la sua casa natale.

 

 

 

 

LA VIA DELLA SETA NEL MILIONE

 

 

1.    Prima di Marco Polo: Giovanni di Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck

              2.La Cina ai tempi di Marco polo

   3.Il Milione e il Buddismo

            4 Il viaggio di ritorno a Venezia

5. L’India di Marco Polo

 

 

Prima di Marco Polo: Giovanni di Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck

 

La costituzione dell’impero mongolo  (XIII secolo) aveva riaperto in Asia centrale

le vie del commercio internazionale interrotte da almeno quattro secoli.

Fuori gioco ormai la Cina sottomessa ai Mongoli era ora l’Occidente a muoversi verso Oriente

nel desiderio di conoscere il misterioso mondo dei Tartari.

Le città della Crimea e del Mar d’Azov si sostituirono ai classici terminali della Siria.

Le mete delle carovane non erano più Chang’an e Louyang, gli antichi punti di partenza della “Via della Seta”,

ma le capitali mongole, Karakorum prima e Khambalik più tardi.

 I pionieri di questi nuovi itinerari divennero i monaci inviati a sondare

la possibilità di una eventuale conversione dei Mongoli al Cristianesimo

e di una ipotetica alleanza contro il comune nemico arabo.

 

Il primo a partire su incarico di papa Innocenzo IV fu il francescano italiano Giovanni da Pian del Carpine

 che in quindici mesi coprì la distanza che separa Lione dall’accampamento imperiale

nei pressi della città di Karakorum dove consegnò una missiva papale al Khan Guyuk (1245-47).

 Giovanni non vide Karakorum ma si fermò presso l’accampamento imperiale nella valle dell’Orkon.

Lo seguì più tardi un altro francescano il fiammingo Guglielmo di Rubruk,

inviato dal re di Francia Luigi alla corte del Khan Mengu (1253-1255).

E’ il primo che descrive Karakorum.I risultati pratici delle due missioni furono deludenti:

le voci di ipotetiche conversioni si rivelarono false

e i Khan non erano per nulla disposti ad accettare la supremazia di Roma.

 

Di grande importanza geografica e etnografica furono invece le relazioni dei due frati

che aprirono ampi spiragli sul mondo misterioso dell’Asia centrale e sui costumi dei Tartari.

L’itinerario comportava nel primo tratto l’attraversamento di tre grandi fiumi a nord del Mar Caspio,

 il Don, il Volga, l’Ural; da qui piegava a sud lungo il corso del Syr Darja, poi di nuovo volgeva a Oriente

e si portava in Zungaria per la Valle dell’Ili o, più a nord, per la Porta Zungara.

Dalla Zungaria l’itinerario proseguiva a nord est nella Mongolia settentrionale

e giungeva a Karakorum dopo aver superato la catena degli Altai e il deserto dei Gobi.

Il problema principale era costituito dalla scarsità di cibo, dalle temperature rigide e

 dalle frequenti bufere di neve.

Le relazioni dei due frati rappresentano i più importanti documenti

sulla geografia e sull’etnografia dell’Asia prima del Milione.

 

Giovanni dà poche notizie geografiche ma si dilunga sulle abitudini dei popoli ancora in parte in vigore:

 

-   Uso di raccogliere letame da seccare come combustibile in assenza di alberi.

-   Uso di confezioni il khumis, il latte di cavalla fermentato chiamato da lui Cosmo che “pizzica la lingua”.

-   La struttura  e il montaggio delle yurte

-   L’attività economica dell’allevamento del bestiame per quanto il paese non sia fertile.

 

Guglielmo fornisce notizie più geografiche e politiche delle regioni che attraversa.

 

E’ il primo a parlare degli Uyguri che allora vivevano in Mongolia accanto ai Mongoli

ed erano in parte nestoriani, in parte islamici e inparte buddhisti:

“hanno grandi campane come le nostre, i sacerdoti si radano la testa e la barba e sono vestiti di giallo”.

La loro lingua è stata adottata dai Tartari.     

 A proposito dei Tanguti cita per la prima volta gli yak “buoi assai forti

che hanno una coda coperta di peli, il centro e il dorso pelosi.

 Sono più corti di zampe degli altri buoi, ma sono molto più forti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

kumis 1      kumis 2   yurta

 

Immagini ancora attuali dopo secoli: la mungitura della cavalla,

la lavorazione del latte per ricavare il kumis, una yurta chiamata in mongolo ger

 

 

La Cina ai tempi di Marco Polo

 

"Marco Polo andò i Cina?".

 

 

La dottoressa Frances Wood, a capo del Dipartimento di Sinologia del British Museum,

nel suo libro del 1996 - intitolato appunto  Did Marco Polo go to China? - lo negò.

 Espresse dubbi circa la credibilità di Polo, basando in buona misura la propria argomentazione

 su ciò che aveva omesso.

La Wood si chiedeva perché non avesse incluso nella narrazione conquiste,

realizzazioni e usanze cinesi rilevanti come l'arte della stampa, il costume della fasciatura dei piedi,

la calligrafia, la pesca con i cormorani, l'abitudine di bere il tè, l'uso delle bacchette per mangiare e la Grande Muraglia.

A questo proposito va notato:

I polo incontrano Kubilai nella sua residenza estiva a Clemenfu. L’accoglienza è cordiale

“Egli è vostro uomo e mio figliolo” disse Niccolò e il Gran Khan rispose

“Egli sia il benvenuto e molto mi piace”. Poi si trasferirono nel palazzo di Kambalik (attuale Pechino)

dove il Gran Khan dimora solo tre mesi all’anno (dicembre, gennaio, febbraio).

Non esistono monumenti relativi a quell’epoca ma la descrizione del palazzo reale

è molto simile a quella dell’attuale città proibita d’epoca Ming (come pure il famoso ponte di Marco Polo)

 “Lo palagio è di muro quadro per ogni verso un miglio attorno al quale vi è una fossa profonda.

E nel mezzo c’è una grandissima porta che non s’apre mai né si chiude se non quando il Gran Khan vi passa”.

Da mercante Marco Polo descrive Kambalik come un grande emporio

nel quale confluiscono mercanti da ogni parte del mondo.

Vi arrivano perle e gemme dall’India e gli oggetti più strani e preziosi  dal Catai e dalle altre province.

Non manca la seta mentre scarseggiano lino, cotone e canapa.

Marco Polo ha  quindi vissuto nella corte dei Mongoli al servizio di Khubilai Khan.

I mongoli  riuscirono ad impossessarsi della Cina settentrionale governata non dai cinesi

ma dalla dinastia Jin originaria del bacino dell’Amur (che a sua volta aveva sconfitto la precedente dinastia mancese dei Liao)

sotto il successore di Gengis Khan Ogodei (1229-1241).  Solo allora i mongoli vennero in contatto

con l’impero cinese (dinastia Sung) che da secoli governava ormai solo la Cina meridionale.

Questa venne conquistata dai successori di Ogodei, Mengku e il fratello Khubilai (1259 – 1296)

che trasporta la capitale a Khambalik e nel 1271 adotta il titolo dinastico cinese di Yuan.

Alla corte di Pechino Marco Polo non aveva granché a che fare con i Cinesi e con le loro usanze.

Più probabilmente mangiava con le mani e beveva latte di giumenta,

piuttosto che servirsi di bacchette o bere tè.

 

Bevande: “nella maggior parte del Catai bevono cotale vino fatto con riso e molte altre buone spezie,

è chiaro e bello e inebria più tosto ch’altro vino”.

Marco non parla quindi del tè dei cinesi ma di una delle tante bevande fermentate tipiche dei Mongoli.

Del tè parla forse a proposito di Gaindu (Kham) “Fanno vino di grano e di riso con molte ispezie.

In questa provincia nascono garofani assai. Egli è un albero piccolo che fa foglie grandi quasi come l’alloro,

lo fiore fa bianco e piccolo come garofano”. Forse è l’albero di tè.

 

Per quanto concerne l'assenza di menzioni della Grande Muraglia, il fatto è che ai tempi di Marco

non era poi tanto "grande" in quanto le muraglie erette dai Tang erano ormai andate in rovina.

Le immense fortificazioni circostanti Pechino che conosciamo oggi furono invece edificate solo tre secoli dopo

che Polo ebbe lasciato la Cina dalla dinastia Ming.

 

 

 

 

 

 

 

muro                     moneta

 

 

La Grande Muraglia all'altezza del passo di Jayu:

non era altro che un muro di fango impastato con paglia ai tempi di Marco Polo ormai abbandonato;

10 yuan: i cinesi hanno inventato la carta moneta. E' questo che ha impressionato il mercante Marco Polo.

 

 

 

Fra le cose che stupiscono Marco Polo importante è la carta moneta

una cosa da “altro mondo” per dei mercanti abituati a comprare e vendere

con monete d’oro e d’argento (il valore della moneta è il valore reale). 

 Il Gran Signore fa spendere invece non moneta ma carta ricavata da foglie di gelso.

Ogni foglietto ha il sigillo del gran khan che garantisce del suo valore e

“ne ha fatte fare tante che tutto il suo tesoro ne pagherebbe”. I

n pratica dice Marco Polo che il Gran Khan ha scoperto “l’alchimia perfettamente” e

che possiede per questo più oro e argento di qualsiasi altro re.

 

Combustibili e minerali : dopo aver parlato del petrolio trovato alle falde del monte Ararat in Armenia

 in Cina parla per la prima volta del carbone.“pietre nere che si cavano dalle montagne

che ardono come bucce e tengono più lo fuoco che non fa la legna”.

Queste pietre costano meno e sono gran risparmio di legna. Interessante è anche la citazione dell’amianto

 “pietre che possono essere filate e trasformarsi in un tessuto che non brucia”.

 

 

 

 

 

carbone     petrolio

 

Il Milione parla di minerali ancora sconosciuti in Europa: come il petrolio,

 l'amianto e soprattutto il carbone. Nelle foto una centrale termoelettrica e un impianto petrolifero nel Gasnsu

 

 

 

 

Perché Marco Polo venne scelto come ambasciatore o governatore di province?

Probabilmente perché a differenza di altri funzionari che “aveva veduto tornare d’altre terre e

non sapevano dire altre novelle se non l’ambasciata”,

Marco aveva dimostrato di essere in grado di osservare le regioni e le genti presso le quali il Khan lo invia

 e di descriverle con precisione (ad esempio gli alimenti, le modalità dei trasporti locali e

del commercio e le valute con cui si pagava).

Informazioni che derivavano dalla competenza di Marco che non era un funzionario o uomo politico,

ma un mercante, quindi interessato alle cose pratiche.

Ciò risultava ovviamente molto utile per il governo di quei territori.

Inoltre, essendo mongolo, il Gran Khan probabilmente si fidava più di stranieri che dei sudditi cinesi.

 

La seta - I due grandi periodi della Via della Seta sono quelli che vanno dal primo secolo A.C.

al primo secolo d.C. (dinastia Han) quando la seta veniva esportata nel Mediterraneo

 richiesta dall’impero romano (la sua importazione costituiva la principale voce passiva del bilancio dello stato

come oggi  il petrolio) e quelli coincidenti con la dinastia Tang  (VII-IXI secolo)

quando l’impero cinese raggiunse il suo massimo splendore.

Quando Marco Polo arrivò in Cina il commercio lungo la Via della Seta era ormai ridotto

in quanto i centri di produzione si erano spostati verso occidente (la Cina non ne deteneva più il monopolio),

ad esempio nella valle Fergana dove ancora oggi tutta la lavorazione è svolta a mano.

 Come avveniva  nel XIII  secolo, infatti, le donne fanno bollire i bozzoli in grandi marmitte

collocate in una sorta di forno di cemento ricavato nel pavimento,

quindi  filano il prodotto con l'ausilio di arcolai di legno, grandi come la ruota di una bicicletta,

lo tingono e infine lo tessono su telai azionati con le mani e i piedi.

Altri importanti centri di fabbricazione di tessuti di seta già dal VII al IX secolo, erano in Sogdiana,

 vicino all'odierna Bukara. Da lì, lentamente, la sericoltura si diffuse nel Mediterraneo.

 Nel XII secolo l'Italia era la maggior produttrice europea di seta: le città di Palermo, Catanzaro, Como

erano particolarmente rinomate. L'allevamento dei bachi fu un importante reddito di supporto all'economia agricola

 e la produzione e commercio di tessuti, assieme a quella della lana un'industria molto redditizia

 che diede ricchezza e potere alle corporazioni che la praticavano, l'Arte della seta di Firenze.

Nel secolo successivo (XIII secolo) industrie dei filati serici fiorirono a Lucca ed in seguito a Bologna

dove era in funzione il "mulino alla bolognese" così descritto in una cronaca:

« Certe macchine grandi, le quali mosse da un piccolo canaletto d'acqua di Reno

fanno ciascuna di loro con molta prestezza filare, torcere et adopiare quattro mila fila di seta,

operando in un istante quel che farebero quatro mila filatrici»

Contemporaneamente, in Cina i mercanti, sulle proprie navi, vendevano molte porcellane e sete ai giapponesi;
del resto, un editto dei 1219 imponeva ai commercianti cinesi di pagare gli acquisti effettuati all'estero
esclusivamente con tessuti di seta e ceramiche.

Quando Marco Polo giunse il Cina, quindi, la seta era conosciuta e prodotta in Italia

senza essere più importata dalla Cina anche se durante la dinastia Yuan mongola (1271-1368),

proseguiva il traffico delle carovane verso l'Asia centrale, ma non esisteva più la via della seta classica.

L’Italia tra il XIII e il XIV secolo era il maggior produttore e esportatore di seta in Europa.

 Ma la via più seguita era quella  marittima: varie imbarcazioni trasportavano gli articoli cinesi fino al porti di Aden,

di Zanzibar, di Mogadishu e del Mar Rosso, da cui pervenivano fino alla Mecca e al Cairo.

Questo traffico finì improvvisamente con la dinastia seguente, i Ming (1368-1644)

 

 

Il Milione e il Buddhismo

 

Il Milione (edizione toscana conosciuta come l’Ottimo più inserimenti da Ramusio)

 inizia a parlare del buddhismo a proposito del Kashmir,

capitolo che precede la traversata del Pamir.

 

De Chesimum

 

Chesimum è una provincia che adorano gli idoli e hae lingua per sè.

Questi sanno fare tanto d’incantamento di diavoli che fanno parlare gli idoli e

fanno cose che non si potrebbero credere. Lor vivanda è riso e carne.

 Li ha castella assai e diserti e (Ramusio - passi fortissimi in modo che gli uomini di quella contrada

non hanno paura di persona alcuna che li vada ad offendere.

Il re loro non è tributario di nessuno).

E quivi havvi molti romitaggi e fanno grande astinenza né non fanno cosa di peccato

né che sia contro la loro fede per amore di loro idoli. E hanno badie e monasteri di loro legge

(Ramusio -Vi sono abbazie e molti monasteri e da tutto il popolo gli viene portata gran riverenza e onore.

E gli uomini di quella provincia non uccidono animali né fanno sangue e,

se vogliono mangiare carne, è necessario che li saraceni che sono mescolati tra loro uccidano gli animali.

Marco Polo riprende a parlare del Buddhismo dopo la traversata del Takla Makan in Cina.

 

Della grande provincia del Tangut

 

Equivale alla parte orientale dello Xinjang, allo Saanxi e alla provincia del Gansu.

Il nome deriva dalla popolazione tangut di origine tibetana che agli inizi dell’XI secolo

avevano fondato il regno indipendente degli Xia (1038-1227).Marco Polo giunge nel Gansu

 molto probabilmente attraverso la Porta di Giada e l’oasi di Dunhuang.

Secondo alcuni codici, come il Geografico e il Ramusio, Marco

avrebbe dimorato in questa regione, da lui chiamata chiamata Tangut, per un anno con il padre e lo zio

evidentemente impegnati in attività commerciali.

L' "Ottimo", una riduzione toscana de Il Milione compiuta al principio del XIV secolo,

riferisce invece la sosta solo a Matteo e a Nicolò che l'avrebbero quindi compiuta durante il loro primo viaggio

 (" e sì vi dico che messer Niccolò e messer Matteo dimorarono uno anno in questa terra per loro fatti").

In ogni caso, o per esperienza diretta o per i racconti del padre e dello zio,

 Marco doveva conoscere molto bene il Gansu e infatti ne descrive con meraviglia la

“gran quantità di abbazie e di monasteri” e le loro grandi statue “di legno, di argilla e di pietra rivestiti d’oro e ben lavorati”.

 Basti pensare ai monasteri rupestri che costellano le piste dello Xinjang

come le Grotte dei Mille Buddha di Kizil e soprattutto

il complesso del monastero dei 1.000 Buddha di Mogao nei pressi dell’oasi di Dunhuang.

 

La provincia si chiama Tangut e hanno idoli; ben è vero che havvi anche alquanti cristiani nestorini e saraceni.

Quelli degli idoli hanno per loro speciale favella, hanno molte badie e monasteri

tutti pieni di idoli di diverse fatte, agli quali fanno sacrifici e grandi onori.

E sappiate che ogno uomo che hae due fanciulli fa nutrire uno montone ad onore degli idoli.

 In capo dell’anno, ov’è la festa del suo idolo, il padre col figliolo menano questo montone davanti all’idolo suo.

Poscia fanno cuocere questo montone. E i loro preghi sono che gli salvi i loro figlioli. 

Fatto questo danno la loro parte di carne all’idolo,l’altra tagliano e portano a casa loro e

mangiano questa carne con gran festa e riverenza.E sappiate che tutti gli idolatri,

quando qualcuno ne muore, gli altri pigliano il corpo morto e lo fanno ardere.

E quando il corpo deve essere menato ne luogo ove dee essere arso,

quivi hanno uomeni di carte intagliati e cavagli e cammegli e monete grosse come bizanti:

 e fanno ardere lo copro con tutte queste cose e dicono che quel corpo morto avrò  tutte le cose all’altro mondo.

E quando questo corpo si va ad ardere tutti gli strumenti della terra vanno sonando dinanzi a questo corpo.

Ancora vi dico che quanto lo corpo è morto si mandano i parenti per gli astrologi e indovini;

e diconli lo dì che nacque questo morto e coloro, per loro incantamenti di diavoli,

sanno dire a costoro l’ora che questo corpo si dee ardere.

E tengono i parenti talvolta in casa quel morto, otto dì e quindici e

 un mese, aspettando l’ora ch’è buona per ardere secondo gli indovini.

 

Di Camul (oasi di Hami)

 

La provincia è in mezzo a due deserti: da una parte è il grande deserto,

dall’altra è un piccolo diserto di tre giornate. Sono tutti idoli.

Sono omeni di grande solazzo e non attendono se non a sonare istrumenti e a cantare e a ballare.

E se alcuno forestiere vi va ad albergare comandano alle loro mogli che gli servano in tutto loro

 bisogna e il marito si parte da casa e va a stare altrove due di o tre:

e il forestiere rimane con la moglie e fa con lei quello che vuole come fosse sua moglie e fanno grandi solazzi.

 

                                                                                     Dal libro: Pedalando lungo la Via della Seta 

 

L’antico regno di Kuqa è oggi una moderna città di mezzo milione di abitanti che

con i villaggi vicini presenta più di cinque milioni di ettari di terreni coltivati

grazie all'acqua proveniente della montagne del Tien Shan.

Tra le ricche testimonianze del suo passato buddhista scegliamo di visitare il monastero rupestre di Kizil

che presenta 236 grotte su di uno sviluppo di circa due chilometri e

circa 10.000 mq di affreschi murali in gran parte però rovinati dal tempo o strappati dagli archeologi tedeschi

che per primi li hanno scoperti. Le immagini più comuni si rifanno agli episodi

della vita del Buddha Sakyamuni (il Buddha storico),

 mentre quelle più originali raffigurano angeli che suonano i più svariati tipi di strumenti definiti da Xuan Zang

" i migliori del mondo": flauti, arpe e la bipa, una specie di chitarra dalle cinque corde.

Proveniente dall'India, il caratteristico strumento venne portato fino alla lontana Chang'an e

 nel VI secolo introdotto nella corte imperiale della dinastia Sun.

L'imperatore e i dignitari di corte apprezzavano a tal punto la musica e le danze del Tarim

da chiamare a interpretarle solo i migliori ballerini delle oasi di Kashgar e di Kuqa.

L'amore per la musica e per la danza si è tramandato nei secoli e ancora oggi a Kuqa

costituisce una componente significativa della cultura popolare.

Numerosi infatti sono i gruppi folcloristici che ripropongono le antiche danze buddhiste.

Le musiche di base sono tratte da  canzoni popolari degli Uyguri, ma le coreografie

rispecchiano ancora i disegni murali dei monasteri rupestri.

Canti corali e individuali accompagnano anche la vita quotidiana,

 in special modo le fasi della vita contadina, dalla semina al raccolto.

 

Di Campicion

 

E’ la cittadina di Zhangye, l’antica Ganzhou, fondata a 1500 metri di quota

al tempo della dinastia degli Han occidentali.

Marco Polo ne parla col nome di Campicion dove si sarebbero trovati idoli di argilla e di legno lunghi dieci passi.

Su ispirazione del Milione nel tardo pomeriggio ne visitiamo il monumento di maggior rilievo,

 il Tempio del Grande Buddha risalente all’XI secolo, quando il Gansu era dominato della dinastia degli Xia dell’Ovest.

All’interno di un edificio di stile imperiale giace il più grande Buddha Paninirvana (il Buddha dormiente) della Cina:

un’impressionante statua in legno dorato e argilla lunga ben 35 metri circondata su ogni lato da statue di arhat e di bodishattva.

Non si tratta di un museo, ma di un tempio ancora in funzione

come dimostrano i fedeli che lo visitano accendendo ceri purificatori e bastoncini di incenso.

 

 

budda disteso 2      budda disteso       buddha disteso 3

 

 

Il più grande Buddha Paninirvana (il Buddha dormiente) della Cina descritto in modo preciso e dettagliato

da Marco Polo che deve averlo visto di persona:

un’impressionante statua in legno dorato e argilla lunga ben 35 metri

circondata su ogni lato da statue di arhat e di bodishattva

 

 

Campicion è a capo della provincia di Tangut. La gente sono idoli e havvi quelli che adorano Malcometto

e havvi cristiani. E havvi in questa città tre chiese grandi e belle.

Gli idoli hanno badie e monasteri secondo la loro usanza. Egli hanno molti idoli e hanno di quegli che

sono grandi dieci passi, tali di legno, tali di terra e tali di pietra e sono tutti coperti d’oro, molto begli.

E sappiate che gli regolati degli idoli vivono più onestamente che gli altri.

Essi si guardano da lussuria, ma non l’hanno per gran peccato.

(Ramusio - quelli che sono grandi sono ben passi dieci di lunghezza

 e giacciono distesi e li piccoli li stanno dietro,

quasi che paiono discepoli a farli riverenza).

 

Mongolia -  Caracorum

 

Traversata del deserto dei Gobi: E in questa città si piglia vivanda per quaranta giorni

 per uno deserto verso tramontana onde si conviene andare

che non hae abitazione né erbe né frutti e non li abita gente.

 

                                                                                       Usanze dei Mongoli (chiamati Tartari)

 

Transumanza: dimorano lo verno in luoghi piani ove abbia molta erba e buona pastura per loro bestie;

di state in luoghi freddi e in montagne e in valli ovo hae acqua assai e buone pasture.

 

Yurte (ger: le loro case sono di legname e sono coperte di feltro e sono tonde e portanlesi in ogni luogo ove vanno,

però che egli hanno ordinato si bene le loro pertiche, ond’eglile fanno,

che troppo bene le possono portare, leggermente in tutte le parti ov’egli vogliono.

Queste loro case fanno sempre l’uscio verso mezzodie.

Egli hanno carrette coperte di feltro nero che, perché vi piova suso, non si bagna nulla cosa che dentro vi sia.

 

Kumis: Egli vivono di carne, di latte e di cacciagione e beono latte di giumente e

concialo in modo tale che pare vino bianco e buono a bere e lo chiamano chemisi.

Hanno ancora latte secco a modo di pasta e seccasi  in questo modo.

Fanno bollire il latte e allora la grassezza che nuota di sopra, si mette in un altro vaso e

di quella si fa il butirro perché fin che stesse nel latte non si potrebbe seccare;

si mette poi il latte al sole e così si secca.

E quando vanno in esercito pottono di questo latte dieci libre e alla mattina ciascuno

 ne piglia mezza libra e la mette in un fiasco piccolo di cuoio fatto a modo di otre con tanta acqua quanto gli piace

 e mentre cavalca il latte nel fiasco si va sbattendo e fassi come sugo, il quale bevono.

 

Animismo: Hanno un loro dio ch’ha nome Nagatai e dicono che quello è iddio terreno

 che guarda i loro figlioli e il loro bestiame e e le loro biade.

E fannogli grande onore e riverenza che ciascuno lo tiene in casa sua e fannogli di feltro e di panno.

E ancora fanno la moglie di questo loro iddio e fannogli figlioli ancora di panno.

Molto gli fanno onore quando vanno a mangiare. Egli tolgono della carne grossa e ungongli la bocca a quello iddio,

alla moglie e ai figlioli, poi pigliano del brodo e gittandolo giuso dall’usciolo

 dove istà iddio e la sua famiglia hae una parte.

 

Mongolia interna

 

Della città di Giandu (era la residenza estiva del Gran Khan).

 

Vita monastica e tzampa: Egli hanno badie e monasteri e sì vi dico che v’ha una piccola città

 che hae uno monistero che hanno piue di dugento monaci e

vestono onestamente più che l’altra gente. Egli fanno le loro feste le maggiori agli idoli del mondo,

cogli maggiori canti e cogli maggiori alluminari.

Anc’ora va un’altra maniera di religiosi che fanno così aspra vita com’io vi conterò.

 Egli non mangiano mai altro che crusca di grano e fannola istare molle nell’acqua calda un poco 

 (Ramusio - fin che si levi tutto il bianco della farina e così le mangiano lavate senza alcuna sostanza di sapore)

 e poscia la menano e mangianla. E quasi tutto l’anno digiunano. E molti idoli hanno e molto istanno in orazioni

 e talvolta adorano il fuoco. Altra maniera v’ha di monaci che prendono moglie e

hanno figlioli assai e questi vestono d’altri vestimenti.

 

 

 

 

 

 

immagine1     monaci    budda

 

  Marco Polo descrive fedelmente la vista religiosa buddhista: dalle grotte degli eremiti,

alle grandi cerimonie religiose, alle gigantesche statue di  "idoli"(Buddha e Bodhistva).

 

 

Yak: Del reame di Erguil (parte centrale del Gansu) Le genti sono idoli.

E havvi buoi selvatici che sono grandi come liofanti e sono molto begli da vedere

ch’egli sono tutti pelosi salvo che lo dosso e sono bianchi e neri e il pelo è lungo tre palmi.

E di questi buoi hanno di dimestichi. Egli li caricano e lavorano  con essi

(Ramusio – e quel pelo o vera lana è sottilissima e bianca e più sottile e bianca che non è la seta

e messer Marco ne portò a Venezia come cosa mirabile).

 

Tibet

 

In Tibet Marco Polo non parla stranamente del buddhismo.

Va però tenuto presente che i grandi monasteri tibetani (Sera, Drepung, ecc.)

sono stati fondati dalla setta Gelukpa e quindi risalgono al XV secolo.

 Al tempo di Marco Polo la scuola dominate era quella dei Berretti Rossi - Sakya pa (quelli delle Terra Rossa):

questo ordine intrattenne da sempre buoni rapporti con i Mongoli che avevano occupato la Cina

fondando la dinastia Yuan e con Goda Khan, nipote di Gengis, nel 1239 avevano ridotto il Tibet a stato vassallo.

L'abate Sakya Pandit fu invitato alla corte dei Mongoli, mentre suo nipote e successore,

l'abate Phakpa, divenne addirittura il maestro spirituale di Kubilai Khan che, proprio per questo,

affidò ai  sakyapa il governo del Tibet centrale. Per il resto allora in Tibet doveva dominare l’animismo

 

Tebet è una grandissima provincia e hanno linguaggio per loro e sono idoli;

egli sono molto grandi ladroni. In questa provincia si spende lo corallo e avvi molto caro

però ch’eglino lo pongono al colle delle loro femmine e di loro idoli.

E hanno i più savi incantatori e astrologi che sieno in quello paese;

 egli fanno tali cose per opera del diavolo. Egli hanno grandissimi cani e mastini grandi come asini

che sono buoni a pigliare le bestie selvatiche e massime buoi selvatici i quali sono grandissimi e feroci.

 

 

Il viaggio di ritorno a Venezia

 

Il viaggio di ritorno dei tre Polo a Venezia sembra sia stato consentito contro voglia dal Gran Khan.

Ma si dà il caso che egli debba dare in sposa al re di Persia una principessa dello stesso lignaggio della moglie di lui che

 «si moriò». Per accompagnarla nel lungo viaggio egli decide che

 i Polo siano garanzia importante di buona riuscita del lungo viaggio, anche perché

Marco è appena tornato da una ambasciata in India e dunque conosce quelle rotte via mare.

 «Lo Gran Cane fece loro la grazia a gran

pena e malvolentieri, tanto gli amava; e diede parola [...] che accompagnassero [...] la donna».

 La carovana percorre la via di terra fino a Zyton (l’attuale Quanzhou)

«porto dove tutte le navi d’India fanno capo con molta mercanzia di pietre preziose e d’altre cose, come

perle grosse e buone».  Vi si trova la moschea della pace e della bellezza costruita mel 1009 

in modo simile alla sala di preghiera della Grande Moschea di

 Damasco, e restaurata nel 1310 da un certo Ahamed  di Gerusalemme.

All'interno vi sono conservati alcuni brani del Corano incisi su pietra in arabo antico,

 testimonianza dei fitti traffici e contatti della città con paesi lontani.

 

Di lì la partenza via mare avviene all’inizio del 1292  La spedizione è complessa perché consta di

quattordici navi con molta gente, costosa e richiede mesi di navigazione (circa due anni) per giungere in Persia.

 

I Polo riprendono così il viaggio, questa volta via mare.

 La prima tappa è nel reame di Camba (l’attuale Vietnam), da cui il Gran Khan

riceve ogni anno un tributo di venti «leonfanti». Ma ciò che impressiona Marco Polo è che

«in quel regno non s’ì usa maritare

niuna bella pulcella, che non convenga prima che il re la provi: e s’ella gli piace, sì la si tiene;

se no, si la marita a qualche barone. E si vi dico

 che negli anni .... ch’io Marco Polo viddi, quel re avea trecentoventisei figlioli tra maschi e femmine.

 

Anche dell’isola di Giava, una delle tappe successive, viene detto, come già del Madagascar, che è grandissima:

«e dicono i marinai ch’ella è la maggiore isola del mondo, che gira bene tremila miglia».

Inoltre vi si producono le spezie più diverse «pepe e noce moscade

e spigo e galanga e cubebe e garofani e di tutte care spezie», tanto da farne anche una regione ricchissima

alla quale «vengono grande

quantità di navi e di mercatanzie, e fannovi grandi guadagni».

 

 

Cambogia: Marco Polo non parla della Cambogia e non dovrebbe averla mai raggiunta.

 

I templi di Ankor: sito che nel periodo compreso fra il IX e il XV secolo fu il centro dell'Impero Khmer 

e ne ospitò le capitali. Poco dopo la sua ascesa  al trono nell' 889, a seguito di una lotta violenta per la successione,

 Yasovarman I spostò la capitale da Hariharalaya (l'odierna Rolous) ad Angkor,

una quindicina di chilometri a nord-ovest, attorno alla collina di Phnom Bakheng,

che fece terrazzare e adornò di santuari, creandovi il suo tempio di stato.

 La nuova capitale venne chiamata Yasodharapura (in sanscrito "città che porta gloria").

 Il nome venne mantenuto, nel corso dei secoli in cui il sito fu abitato

 per le capitali che diversi re edificarono nella stessa zona,

compresa quella cinta da possenti mura costruita da Jayavarman VII oggi conosciuta come Angkor Thom.

 

A seguito del decadere della potenza dell'Impero Khmer e

dell'ultimo di una serie di saccheggi ad opera dei Thai del Regno Ayutthaya, avvenuto nel 1431

(data che convenzionalmente segna la fine dell'Impero Khmer),

il governo e gran parte della popolazione abbandonarono la vecchia capitale e si trasferirono

 a sud, nell'area di Phnom Penh.

Il termine Angkor convenzionalmente usato per la regione

 deriva dalla pronuncia khmer del termine sanscrito nagara "città",

 e cominciò in realtà ad essere utilizzato quando l'impero Khmer r si era ormai dissolto.

Nella zona sono stati catalogati 72 templi principali ed un migliaio circa di templi secondari,

gran parte dei quali in rovina. La maggioranza dei templi più noti e visitati

 è concentrata in un'area di circa 15 km per 6 km, 5 km a nord di Siem Reap,

ma l'area totale definibile come Angkor è molto più vasta:

 il Parco Archeologico di Angkor si estende attualmente su 400 km² e comprende centinaia di templi e santuari,

di cui molti in rovina o sepolti, e siti lontani fino a 50 km dalla zona centrale, come Kbal Spean.

 

Birmania: durante una missione Marco Polo la visita dopo il il Tibet

E' il paese di  Mien e dei famosi templi di Bagan (Pagan)

 la città dei centomila templi.

 

Quivi il re locale «ha voluto costruire queste torri per celebrare la sua magnificenza e

 per il bene dell’anima sua, e vi dico che a vederle

sono le più belle cose al mondo e quelle di maggior valore».

 Dice bene, il Nostro, che il motivo della magnificenza reale, nel costruire

molti di quei templi, venne probabilmente prima dello zelo religioso.

Come il re, così molti altri principi e potenti del regno vollero

manifestare la loro devozione religiosa, ma anche la loro ricchezza,

costruendo altri numerosi templi, fino al giorno in cui proprio i

mongoli di Qubilai Khan giunsero a conquistare la città e

porre fine a un regno che aveva dominato per quattro secoli sull’intera regione

del fiume Irawaddi.

 

Viene descritta la celebre battaglia nella quale per la prima volta

 i tartari si trovarono di fronte gli elefanti che da allora

vollero sempre avere al seguito in guerra.

 

 Non si può escludere che la conquista mongola di Pagan  sia stata vista direttamente

(o addirittura partecipata) da Marco Polo perché essa coincise proprio con il periodo

 in cui egli viaggiava e lavorava per il Gran Khan. Anche i mongoli vi restarono però poco

tempo, perché già nel 1299 si ritirarono, forse troppo esposti nel controllare un impero vastissimo.

La città venne conquistata dagli Shan, che già dominavano, come dominano tuttora, le montagne circostanti. 

Quanto ai templi, ancor oggi numerosi, preziosi e parzialmente restaurati,

 è interessante quanto Marco Polo racconta. Quando i  condottieri del Khan furono a questa città,

viddono così bella cosa di queste torri, mandarono adire al Gran Cane la bellezza di queste torri,

e la ricchezza e ‘l modo come furono fatte, e ov’elle erano e se voleva che le disfacessero e mandassongli

 l’oro e l’ariento. E lo Gran Cane, udendo che quello re l’avea fatte per la  sua anima

e per ricordanza di lui, mandò comandando che non fossero guaste,

 anzi vi stessono per coli che l’avea fatte fare, cioè il re che fu di quella terra.

 

Sumatra: è probabilmente il reame di Samarca, la tappa successiva del viaggio 

 

Nel racconto di Marco è posta in evidenza l’antropofagia degli indigeni, «gente molto selvatica».

La carovana è costretta a fermarsi qui cinque mesi per la mancanza di vento,

e a costruirsi solidi ripari, «castella in terra di legname», per difendersi dalle insidie dei locali.

Marco Polo accenna qui anche alla pasta " e vi sono arbori grossi tutti pieni di farina 

e di quella farina si fa molti mangiar di pasta e buoni”),

 quando parla del regno di Fransur situato sulle coste di Sumatra dove si ricavava

farina dalla Palma sagu originaria della Malesia.

 

Singapore: esisteva nel XIII secolo, ma non sembra citata da Marco Polo; vi sono ipotesi in merito

 

Il Milione parla dell’isola di Petam “ quando l’uomo si parte  di Locac

(potrebbe essere la Cambogia la cui antica capitale era Loech oppure la Malesia in genere)

 e va 500 miglia per mezzodie e trova un’isola ch’ha nome Petam ch’è molto selvatico luogo:

 tutti i loro boschi sono di legni molto odoriferi.

Pentam (edizione del geografico e del Ramusio) sarebbe affine

a quello delle moderne isole di Bintan e di Batam davanti a Singapore.

Non si potrebbe escludere comunque che sia la stessa Singapore l’antica Betuma degli Arabi

 In effetti nel Milione si parla di tre isole specificando che fra due di esse

 si naviga per 60 miglia: potrebbe essere lo stretto attuale di Riow.

 

Secondo una leggenda malese, il principe di Sumatra Sang Nila Utama,

sbarcato dopo una terribile tempesta nell'isola di Temasek

 (il cui nome significa "Città del mare"), si imbatté in uno strano animale che gli fu detto essere un leone

- fatto ritenuto di buon auspicio -

 il che lo spinse a fondare Singapura, che in sanscrito significa letteralmente "città del leone".

I ritrovamenti archeologici nell'area e i resoconti scritti di esploratori e viaggiatori,

evidenziano l'esistenza nella zona di un insediamento abitato fin dal XIV secolo 

Da quel che sappiamo la città disponeva di una cinta muraria e di un fossato.

Ritrovamenti di ceramiche, monete, gioielli e altri manufatti, molti dei quali

originari della Cina, dell'India, dello Sri Lanka e dell'Indonesia sono considerati

prova che l'insediamento era un centro di  rilievo per i commerci nell'area asiatica.

In poco tempo quella zona divenne un piccolo centro per il commercio del potente Impero di Sumatra e

 successivamente, verso la metà del XIII secolo, uno Stato vassallo dell'Impero di Giava.

 Il lento declino di questa potenza portò Singapore ad essere

conquistata, nel XV secolo, dal Sultanato di Malacca.

Ma questa dominazione durò assai poco, infatti nel 1511 venne raggiunta dai portoghesi.

Poi venne conquistata dagli olandesi  Ci furono così degli scontri tra olandesi e britannici.

Singapore sarebbe potuta rimanere una tranquilla piccola città se non fosse stato per

Sir Thomas Stamford Raffles nel 1819.

Questo personaggio ancora oggi è visto come il fondatore della città moderna perché grazie a lui Singapore

 divenne un centro commerciale importante. Il Trattato di Londra del 1824 fra olandesi e britannici 

accordò a questi ultimi il controllo dei territori rivendicati dagli europei a sud di Singapore.

Nel 1826, Singapore, Malacca Penang costituirono gli Insediamenti dello Stretto.

La colonia così formatasi venne ad essere amministrata dalla Compagnia Inglese delle Indie Orientali.

Successivamente, i mercanti del luogo fecero pressione presso le istituzioni britanniche

 perché riformassero la legislazione, in modo da garantirli contro la pirateria e gli altri crimini.

Singapore fu dichiarata "colonia della corona" nel 1867 e

 qui vi si instaurò saldamente il dominio della corona britannica.

Attirati dalle esenzioni doganali, gli immigranti si riversarono a migliaia e Singapore

 divenne una fiorente colonia e una base navale militare che contava circa 10.000 abitanti nel 1869.

 

 Andamane e Nicobare: la flotta dei mongoli risale di lì verso nord,

dove incontra le isole Neninespola e Agama

dove «non hanno re e [...] sono come bestie selvatiche».

  

 

Sri Lanka: è l'isola di Seila  «dove sappiate che in questa isola nascono i buoni e nobili rubini [...]

e qui nascono zaffiri e topazi e amatisti,

 e alcune altre pietre preziose. E si vi dico che il re di questa isola hae il piue bello rubino del mondo [...]

vermiglio come fuoco».

 

Risalendo la penisola indiana lungo la sua costa occidentale,

la flotta raggiunge la provincia di Maabar (corrispondente all’attuale Coromandel),

 dove Marco Polo è colpito dalla rischiosa pesca delle perle,

ma anche da altri costumi sociali. Per esempio, «quando lo re è morto e lo corpo suo s’arde,

 e tutti i suoi figliuoli s’ardono, salvo il maggiore che deve regnare.

 E questo fanno per servillo nell’altro mondo». A sua volta «quando alcuno uomo

 morto s’arde, la moglie si getta nel fuoco e arde con esso lui;

e queste femmine che fanno questo sono molto lodate dalle genti, e molte donne il fanno».

 Si tratta di un costume atavico, giunto talora fino ai giorni nostri,

almeno nei villaggi più isolati, nonostante sia vietato dalla legge.

 

Bordeggiando la costa dell’India, e visitando i regni di Maabar e Multifidi (l’attuale Kerala),

Marco Polo trova memoria di Santo Tomaso l’Apostolo

 e delle lotte tra fedeli di religioni diverse. È questa una circostanza che talora caratterizza ancora la società indiana,

ove l’attaccamento alla propria religione porta in qualche caso a non tollerare quelle altrui.

Tra i costumi religiosi, Marco Polo ricorda quelli dei guru e dei fachiri,

che vanno tutti ignudi senza coprire loro natura [...] e questo dicono che fanno per gran penitenza [...]

e non mangiano né in taglieri né in iscodelle;

ma in foglie di certi albori secche e non verdi, che dicono che le verdi hanno anima, sì che sarebbe peccato.

 

La venerazione degli Indiani per le vacche sacre è testimoniata da Marco Polo con queste parole:

 «Codesta gente adora gli idoli e molti venerano il bue, dicendo che è cosa buona farlo:

nessuno, perciò, ne mangerebbe la carne per nulla al mondo, né alcuno

mai lo ucciderebbe». Come è ben noto, la tradizione indù continua, perfino nelle città più moderne.

«E vi dico che ardono le ossa di bue e ne fanno polvere, e di quella polvere

s’ungono il corpo con grande riverenza, così come i Cristiani fanno con l’acqua santa». Anche

questa usanza, pure ormai non molto diffusa, ancor oggi prosegue.

 

Lungo la costa del Melibar e poi del Gufarat (Malabar e Gujarat)

la flottiglia dei Mongoli incontra «i peggiori corsari che vanno per mare e gli più maliziosi,

chè, quando e’ pigliano alcuno mercatante, sì gli danno bere i tamarindi coll’acqua salsa per farlo andare

in sella, e poi cercano l’uscita, se ’l mercatante avesse mangiato perle o altre care cose, per ritrovarle».

 È il sistema con cui altrove spesso si trasporta oggi la droga, per evitare i controlli al narcotraffico, e poi la si recupera;

Marco Polo riferisce che spesso giungono qui le navi del Mangi (la regione sudorientale della Cina),

ma sono costrette a navigare tutte insieme e bene armate per evitare gli assalti dei corsari

 «che non fanno altrui male, se non ch’egli rubano e tolgono altrui tutto l’avere, e dicono

 “Andate  a procacciare dell’altro”».

 

Anche se non è raccontato esplicitamente, sembra di capire che

l’incontro con i pirati fu un’esperienza della stessa flotta mongola.

Ciò si deduce dal Prologo del Milione, ove l’arrivo al porto finale di Curmos (Hormuz)

viene descritto riguardare soltanto una delle quattordici navi nominate alla partenza;

e solo diciotto delle «bene settecento persone» partite dalla Cina.

Per fortuna tra esse è la principessa per la quale l’impresa è stata compiuta,

ma come già si è detto,  è invece morto lo sposo destinatario, sicché ella passa al figlio, che a suo tempo la sposerà.

 I tre Polo sono sopravvissuti a tutte le  traversie del viaggio. Hanno compiuto la missione affidata

da Kubilai Khan. Nella sosta al porto persiano giunge però notizia che anche lui nel frattempo è morto.

Nulla dunque trattiene i Polo dal ripartire verso Venezia, questa volta riprendendo il viaggio via terra

 attraverso la Persia, in direzione del Mar Nero.

 

Dall’ansa meridionale del Golfo Persico riprende il viaggio dei Polo verso Venezia.

Nulla di esso racconta tuttavia Il Milione, che si limita a ricordare le tappe principali:

 «Tripisonde, e poi a Costantinopoli, e poi Negroponte, e poi a Vinegia» (Trabzon, sul Mar Nero; Istanbul; l’isola greca

 di Eubea; e Venezia), dunque le coste del Mar Nero, poi forse per via marittima a Istanbul, alle isole greche e infine a Venezia.

 

L’India di Marco Polo

 

Marco Polo visita probabilmente la costa est dell’India (Golfo di Mannar ricco di perle e il Coromandel),

ma nel Milione riporta delle notizie di via quotidiana dieccezionale attualità.

Ho fatto una ricerca e ho riletto tutto il capitolo dedicato all’India.

Mi sono stupito della precisione e della quantità dei riferimenti quanto mai attuali.

 

 C’è tutta la società indiana.

 

 

Oltre all’impronta di Adamo a Cylon lungo la costa del Coromandel c’è il luogo della morte di San Tommaso l’Apostolo

ucciso da un bramino, meta di pellegrinaggio di cristiani e saracini.

 In realtà oggi la tomba si trova a Mylapore sobborghi di Madras. Quando vi giungono i portoghesi nel XV secolo

valutano a 150.000 i cristiani a Madras. Erano gli unici che potevano mangiare carne di vacca.

 

 

In pratica si può dire che poco è cambiato in fatto di costumi dai tempi di Marco Polo

 

 

 pugia    rigo  mucca

 

 

1 La venerazione degli Indiani per le vacche sacre 

 

«Codesta gente adora gli  idoli e molti venerano il bue, dicendo che è cosa buona farlo:

nessuno, perciò, ne mangerebbe la carne per nulla

 al mondo, né alcuno  mai lo ucciderebbe».

 

2. La purificazione indu della casa con lo sterco di vacca

 

“ e si vi dico ch’egli ungono tutta la casa di grasso di bue (sterco)

 

3. L’uso di stare seduti a terra a gambe incrociate

 

“ e ancora ci ha un altro costume: che gli re e i baroni e tutta altra gente non si siede mai

se none a terra e dicono che questo fanno perchè

sono di terra se alla terra devono tornare”

 

4. L’uso di considerare la mano sinistra impura (anche oggi la usano per lavarsi il sedere senza carta igienica)

 

“nel suo mangiare adoperano solo la mano destra né toccherebbero cibo alcuno

 con la sinistra perché l’ufficio della mano sinistra è solamente

 circa le cose brutte e immonde come sarebbe far nette le parti vergognose o cose simili a queste”.

 

5 Usanze tipiche del sistema delle caste; non bevono mai nel bicchiere di un altro perché potrebbe essere impuro.

 Anzi versano il liquido direttamente in bocca a cascata.

 

”bevono solamente con boccali e ciascuno il suo né nessuno beverebbe col boccale di un altro.

E quando bevono non si mettono il bocale in bocca

ma lo tengono elevato in alto e gettansi il vino in bocca.. né darebbero quei boccali a nessun forestiero.

 Gli getterebbero il vino tra le mani ed egli berrà con quelle”.

 

6 L’estensione delle risaie, cosa che lo stupisce

 

“E non hanno grano, ma riso….. qui non ha altro da mangiare altro che riso"

 

 

7. L’uso della moglie di essere bruciata col marito morto

 

“ Quando alcun uomo moro s’arde, la moglie si getta nel fuoco e

arde con esso e queste femmine sono molto lodate”.

 

8. Il clima caldo col monsone (da navigatore lo conosceva)

 

“E v’ha si gran caldo ch’è meraviglia, e vanno ignudi e non vi piove se non tre mesi dell’anno:

 giugno, luglio e agosto; e se non fosse questa acqua che

 rinfresca l’aire vi sarebbe tanto caldo che nessuno camperebbe”

 

Usanze religiose

 

9. Il rosario tibetano di 108  grani (lui lo dice di 104)

 

“ancora li pende dal collo una corda di seta sottile e in questa corda ha da 104 tra perle grosse e rubini……

perché conviene che dica ogni 104 orazioni ai suoi idoli. E così vuole la sua legge”.

 

10 Le abluzioni

 

“ancora hanno questa usanza; che maschi e femmine ogni di si lavano due volte tutto il corpo,

la mattina e la sera e mai non mangerebbero se questo prima non avessero fatto”.

 

11 I bramini (bregomanni). Anche oggi l’iniziazione dei giovani delle caste più alte

avviene con la consegna del cordone sacro una funicella da portare dalla spalla sinistra all’anca destra come dice il Polo.

 E’ ricordato anche l’uso di masticare il betel. Il vino di cui parla il

 Polo è un ricavato della Palma Indica Vinaria il cui liquido viene fermentato.

 

“e non mangiano carne e non bevono vino e istanno in grande astinenza e onestate e

non toccherebbero altra femmina che non la moglie… tutti i bregomanni sono conosciuti per il filo di banbagia

ch’egli portano sotto la spalla manca e si il se legano sopra la spalla dritta si che gli viene il filo a

 traverso il petto e le ispalle”. “Questi bregomanni vivono più che la gente sia al mondo

perché mangiano poco e fanno grande astinenza; gli denti hanno buonissimi per una erba ch’egli usano mangiare”

 

12. Descrizione della setta degli yogin (ciughi)

 

Vanno tutti ignudi senza coprire loro natura [...] e questo dicono che fanno per gran penitenza [...].  

Ardono le ossa del bue e fannone polvere e di quella polvere s’ungono in molte parti del corpo.

Egli dormono ignudi per terra e tutto l’anno digiunano”

 

13 Descrizione attuale della setta dei giainisti

 

“Vi dico che costoro non ucciderebbero veruno animale al mondo, né pulce, né pidocchi né mosca

perch’è dicono ch’egli hanno anima,

 però sarebbe  grande peccato” e non mangiano né in taglieri né in iscodelle;

 ma in foglie di certi albori secche e non verdi, che dicono che le verdi

 hanno anima, sì che sarebbe peccato.

 

14 L’uso di bruciare i morti

 

“Questi ardono i corpi morti perché dicono che, se non ardessero,

e se ne farebbero vermini e quegli vermini norrebbero quando non

 avessero più da mangiare; perciochè dicono che i vermini hanno un’anima,

onde l’anima di quel cotale corpo n’avrebbe pena nell’altro mondo”.

 

15 Le offerte di cibo alle divinità induiste. Uno spettacolo anche oggi quotidiano.

 

“qui ha molti monasteri d’idoli e havvi molte donzelle e fanciulli offerti da loro padri…

queste sono molte donzelle che portano da mangiare aquesti idoli e pongono la tavola davanti agli idoli e

pongovi suso vivande e lascia levi suso una grande pezza e tuttavia le donzelle cantano e ballano

 per la casa. E hanno opinione che il dio molte volte si sollazza con quelle e che si congiungono insieme.

Quando hanno fatto questo, dicono che lo spirito dell’idolo hae mangiato tutto il sottile delle vivande e

 ripongono e se ne vanno. E questo fanno le pulcelle tanto che si maritano”.

 

16 il noviziato dei monaci indù: primo mendicità itinerante; secondo digiuno; terzo castità

 

”Ora eglino vogliono provare s’egli sono bene onesti;

 e mandano delle pulcelle che sono offerte agli idoli e fannogli toccare a loro in più parti del

 corpo e istare con loro in solazzo; e se il loro membro si muta, si li mandano via e dicono che non è onesto;

e se il membro non si muta, si li tengono a servire gli idoli del monastero”,

 

 

     

 

               CICLO-MARATONA COMO - PECHINO                   

 

14.000 CHILOMETRI IN BICICLETTA LUNGO LA VIA DELLA SETA

 

carta generale

 

 

Sorrisi di ragazze iraniane.

 

donne 1        donne 2

                    

                                                                                                                                                                                                

  I migliori itinerari per ripercorrere le carovaniere che collegavano l'Estremo Oriente al bacino del Mediterraneo.

Sulle orme di Marco Polo

 e dei grandi esploratori del passato. Dal volume Le grandi carovaniere d'Asia.

 

Via della seta cinese

La via delle steppe dell'Asia centrale

La KKH (Karakorum Hygway)

La Via della seta in bicicletta: 14.000 chilometri da Como a Pechino.

 

Via cinese della seta

 

Carta cina

 

ll viaggio lungo la “Via della Seta” cinese parte da Xi’an, il capoluogo della provincia dello Shaanxi,

dove il prezioso prodotto veniva convogliato dalla regioni limitrofe per prendere la strada dell’Occidente,

e termina a Kasghar (Kashi), da sempre l’oasi di confine, ultima tappa prima di affrontare

 i passi del Tien Shan, del Pamir e del Karakorum.

Seguirne il tracciato nel suo senso naturale e storico, da Oriente verso Occidente,

consente di vivere una esperienza a più dimensioni. Dal punto di vista geografico, lasciata ben presto

alle spalle la Cina agricola delle risaie, ci si sposta nella Cina esterna

 delle steppe della Zungaria, delle dune di sabbia dei deserti del Gobi e del Takla Makan,

si sosta nelle popolose città-oasi e si termina il viaggio alle pendici

 delle montagne del Pamir dove nell’antichità i carovanieri sogdiani e battriani

 effettuavano il cambio di mercanzie con i commercianti cinesi.

Dal punto di vista culturale si visitano i più significativi monasteri rupestri

 scavati nell’arenaria di strapiombanti falesie da generazioni di monaci

impegnati a diffondere il culto di Buddha lungo le vie percorse dalle carovane di mercanti.

Dal punto di vista storico si ha modo di rievocare le tappe fondamentali della conquista cinese,

che risale all’epoca delle dinastie Han e Tang, degli immensi spazi desertici che si estendono

ad occidente del corridoio del Gansu.

 Ne sono ancora tangibili segni le rovine delle Grandi Muraglie e la serie

 di torri di vedetta erette nelle sabbie dei deserti fra un’oasi e l’altra a protezione delle carovaniere.

Infine, dal punto di vista etnografico, si prende contatto con gli attuali modelli di vita delle popolazioni dello Xinjiang,

come gli Uyguri di Turfan, di Kuqa e di Kashgar o i Kazaki del Tien Shan.

Certamente negli ultimi anni le trasformazioni operate dai cinesi,

anche per potenziare l'industria turistica, sono state strabilianti.

Le antiche piste dei deserti sono oggi trasformate in autostrade con tanto di caselli di pedaggio e di svincoli.

Accanto ai tradizionali nuclei abitati delle oasi, sono sorte

 le moderne città cinesi con viali, circonvallazioni, grattacieli, grandi alberghi.

 I monumenti risultano circondati da una ragnatela di bancarelle e di negozietti

 che offrono tutti gli stessi prodotti quasi sempre pacchiani col risultato di banalizzare, se non di annullare, la suggestione dei luoghi.

 Ma forse tutto questonon è che l'inevitabile conseguenza del progresso che, in fondo, ribadisce sotto altri aspetti la vocazione commerciale delle oasi della Via della Seta all'inizio

 del terzo Millennio. Non più carovane di mercanti carichi di mercanzie,

ma pulman di turisti provenienti da ogni parte del mondo per ripercorrere,

possibilmente nel massimo confort, le piste rese mitiche dal passaggio di pellegrini e di esploratori

 

La via delle steppe dell'Asia centrale

 

 

Scansione Mary  bukara

 

                                                                                                                                                                                          Il centro carovaniero di Bukhara

 

 

La diramazione settentrionale della Via della Seta si sviluppa nel territorio delle repubbliche

del Kirghizistan, del Kazakistan, dell'Uzbekistan e del Turkmenistan

e costituisce la naturale prosecuzione della Via cinese della Seta da Kashgar verso occidente.

Chiuse per ragioni politiche, sia la carovaniera che da Kasghar  portava in Iran attraverso l'Afghanistan,

sia quella che raggiungeva la Fergana attraverso la valle del Kyzylsu (Transalay) e la città di Os (passo Tomurun),

non rimane infatti altra possibilità che salire fino a Biskek (ex Frunze), capitale del Kirghizistan,

scavalcando la catena del Tien Shan al passo Torugart (3.750 m), spartiacque fra il bacino del Tarim

e quello del Naryn - Syr Darya. La strada attraversa da sud a nord l'intera

 catena del Tien Shan tra ampi altipiani rivestiti da pascoli e incorniciati da cime che raggiungono i 4.700 metri

 e tocca il lago Issik kul, considerato il secondo bacino lacustre abitato più grande e alto del mondo

dopo quello del Titicaca nel Perù. Si tratta di una diramazione locale di grande interesse

 paesaggistico che consente di inserirsi sul ramo più settentrionale della Via della Seta che

da Urumqi raggiungeva l'attuale Alma Ati attraverso la valle delfiume Ili e la Porta Zungara

e poi proseguiva verso Biskek, Tashkent e Samarcanda.  Da Biskek ci può  spostare in aereo a Taskhent,

oppure raggiungere Os dove ci si ricollega alla via carovaniera più meridionale proveniente dalla valle del Transalay.

A Os si supera il confine fra Kirghizistan e Uzbekistan e si inizia

 a percorrere la valle Fergana, in realtà una grande pianura attraversata dal fiume Amu Darya

che con le sue acque sapientemente incanalate crea unaininterrotta successione di oasi coltivate.

Da Kokand, attraverso il Passo Chirchekci, ci si porta a Taskhent da dove si prosegue  per Samarcanda e per Bukhara.

 Da Bukhara si attraversa il confine fra Uzbekistan e Turkmenistan all'altezza del corso della Amu Darya,

 si percorre il deserto del Kara kum, si tocca l'oasi di Merv e si entra in Iran.

Qui, a Mashhad, ci si ricollega con la carovaniera meridionale proveniente dall'Afghanistan e dalla Cina.

 Si tratta come si vede di itinerari abbastanza complessi che consentono diverse soluzioni di percorrenza.

Danno in ogni caso l'idea di come l'antica Via della Seta fosse in realtà

 costituita da una ragnatela di carovaniere i cui fili più volte si intersecavano fra di loro.

 

La Karakorum Highway

 

 

Pamir cinese

 

Nel Pamir cinese. Sullo sfondo il Kongur (7.700 m)

 

I pakistani la amano definire “Il miracolo dell’ingegneria del XX secolo”.

E il nome della Karakorum Highway (KKH) viene quasi sempre abbinato e nobilitato

da quello piú conosciuto e mitico di Silk Road, la “Via della Seta”.

 

                                                                                                   Un pò di storia

                             

Basta osservare un atlante per rendersi conto che la direttrice dell’attuale Karakorum Highway

non rientrava in senso strettonella rete delle carovaniere della “via della seta”,

poiché congiungeva la Cina non con i porti del bacino del Mediterraneo e del Mar Nero,

ma con i ricchi mercati del subcontinente indiano.

Questa pista si staccava dall’itinerario piú meridionale della “via della seta” proprio alle soglie del corridoio afghano,

 per scavalcare la catena dell’Hindu Kush e continuare verso sud in direzione della valle dell’Indo.

 L’apertura della carovaniera può essere fatta risalire

all’epoca dell’impero indo-sciita dei Khusana (II secolo d.C.), che abbracciava l’India nord-occidentale

e si spingeva fino alla Battriana (Afghanistan nord-orientale) e

alla Sogdiana (il territorio fra l’Amu Darya e il Syr Darya). A quel tempo la dinastia cinese degli Han orientali

si era assicurata il possesso dell’intero bacino del Tarim fino alle montagne del Pamir e

 aveva trasformato la pista meridionale (Dunhuang, Yutan, Yarkand e Kashgar)

 in una strada militare protetta da fortificazioni.

Le merci trasportate erano le piú varie: dalla Cina, oltre alla seta, giungevano tè e porcellane;

dall’India prendevano la strada della Cina oro, avorio, gioielli e spezie.

Ma i mercanti indiani, come quelli della Battriana e della Sogdiana, portavano in Cina con le loro mercanzie

anche l’immagine e l’insegnamento di Buddha, alla cui religione si era convertito nel I secolo d.C. Kaniska,

l’imperatore dei Khusana. I primi buddhisti conosciuti erano già arrivati in Cina a Chang’han,

 la corte degli Han occidentale, come ambasciatori dei Khusana nel 2 a.C.;

la prima comunità buddhista risale al 65 d.C.,

ma per la definitiva affermazione della dottrina bisogna aspettare il III e il IV secolo.

I mercanti crearono lungo il percorso indiano (attuale KKH) e a nord del Karakorum e del Pamir

lungo il doppio arco di oasi del Tarim, una serie di luoghi sacri deputati alla preghiera.

A loro faranno seguito monaci missionari

 che curarono l’edificazione di monasteri e la traduzione dei testi sacri dal sanscrito al cinese.

Il percorso della Karakorum Highway può essere quindi a ragione definito la “via del buddhismo”,

anche in considerazione delle numerose testimonianze 

che al moderno turista è dato trovare lungo il tracciato pakistano.

Nel 1947 la carovaniera non differiva di molto da quella che il monaco buddhista Fa Xian

aveva descritto nel IV secolo d.C.

Basti pensare che solo per raggiungere la valle dell’Indo, e quindi Gilgit, da Rawalpindi

occorreva portarsi ai 4.174 metri del passo Babusar lungo una stretta e ripida pista per mezzi fuoristrada.

 Da qui il progetto di unire le regioni del Kashmir (le Northern Areas) appena annesse

 con una strada carrozzabile asfaltata che avrebbe dovuto spingersi fino al confine cinese.

Venti anni sono stati necessari per trasformare il sogno in realtà: a partire dal 1960, infatti, 15.000 uomini dell’esercito

 pakistano da una parte e da 9.000 fino 20.000 operai cinesi dall’altra,

 sono riusciti a tracciare una strada su un terreno apparentemente impossibile,

 impiegando 8.000 tonnellate di esplosivi e 80.000 tonnellate di cemento.

 Più di 400 furono gli operai pakistani morti per incidenti durante i lavori, uno per ogni due chilometri di strada.

 I dati relativi al settore cinese non sono mai stati rivelati, ma si dovrebbero aggirare sulle 300 persone.

 Terminata nel 1980, la carrozzabile venne inaugurata ufficialmente nel 1982

 con l’apertura del passo Kunjerab al traffico commerciale, ma solo nel 1986 l’intero percorso

 di 1.260 chilometri da Rawalpindi fino a Kashgar divenne accessibile anche ai turisti.

 

L'itinerario

 

L'itinerario può essere diviso in due settori diversi.

La KKH vera e propria costeggia nel suo primo tratto, lungo la valle dell’Indo,

 le estreme propaggini della catena himalayana

(il massiccio del Nanga Parbat), poi penetra nel Karakorum fra i gruppi del Batura Muztagh e l’Hispar Muztagh

 e raggiunge il passo Khunjerab.

Sono in tutto 860 chilometri di asfalto che toccano i paesi di Besham, Chilas, Gilgit e Karimabad,

tutti villaggi che la nuova strada ha strappato al secolare isolamento trasformandoli in centri turistici.

Oltre il passo Khunijerab la carrozzabile prosegue poi in territorio cinese

 nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur con il nome di China-Pakistan Big Road,

attraversa gli altipiani del Pamir, passa ai piedi della catena del Kongur (7.719 metri)

e giunge a Kashgar dopo 400 chilometri di asfalto.

 

 

albicocche ridotte    ghiaccio  ridotto 1             ghiaccio 2 ridotto

 

Alcune fotografie oggi non più possibili; l'essicatura delle albicocche presso gli Hunzakut; e i portatori di ghiaccio dello Swat

                                        

Rilevanti sono le differenze ambientali e climatiche dei due settori.

Partendo da Rawalpindi e procedendo nella valle dell’Indo verso il confine cinese, ci si

 allontana progressivamente dall’area di influenza del monsone e si entra nell’Asia arida e secca.

Si passa infatti dai 1225 millimetri di precipitazioni annui di Rawalpindi, ai 255 millimetri di Hunza.

Anche in luglio e in agosto, quindi, a parte qualche coda di monsone che può interessare la valle dell’Indo e dell’Hunza,

 il tempo è quasi sempre bello. Le temperature diminuiscono progressivamente andando verso nord:

dal caldo torrido della valle dell’Indo, dove in agosto si registrano massime superiori ai 40°,

si passa ad un clima più mite in quanto temperato dall’altezza,

ma caratterizzato sempre da una forte escursione termica giornaliera.

Oltre il Passo Kunjierab si entra nel mondo naturale dei deserti freddi d’alta quota del Pamir cinese:

a Taxkorgan cadono solo 80 millimetri di pioggia all’anno.

L’agricoltura possibile in Pakistan grazie a geniali sistemi di irrigazione

è qui sostituita dall’allevamento nomade e semi-nomade.

Nel programmare la traversata dal Pakistan alla Cina occorre comunque sempre prevedere la possibilità

di interruzioni stagionali. In caso di frane l’intervento dei mezzi dell’esercito dotati di ruspe è tempestivo,

ma talvolta occorre attendere anche una giornata perché la strada sia di nuovo libera.

Nel tratto pakistano il settore più soggetto a frane è quello di Chilas,

ma la strada può essere spazzata dalla forza delle acque in corrispondenza della fronte dei ghiacciai Gulkin e

 Batura e nelle gole finali da Sost fino alla base della salita al passo Khunjerab.

In questi vengono organizzati dei trasbordi che prevedono trekking a piedi più

 o meno lunghi e il trasporto a spalla dei bagagli ad opera di portatori locali per superare in sicurezza la zona di frana

 

LE CONDIZIONI POLITICHE ATTUALI DEL PAKISTAN RENDONO OGGI PROBLEMATICO E PERICOLOSO PERCORRERE

QUESTO TRATTO CHE NELLA VALLE DELL'INDO PASSA DAL DISTRETTO DELLO SWAT (BESHAM).

E' COMUNQUE CHIUSA LA VARIANTE CHE RAGGIUNGEVA GILGIT ATTRAVERSO LO SWAT

 (OCCUPATO DAI TALEBANI MA SUBITO LIBERATO DALL'ESERCITO PAKISTANO

CON IL SEGUITO DI MORTI CIVILI  E DI SFOLLATI) E IL CHITRAL.

IL PASSO SANDHUR (3734 m) DOVE SI TENEVA OGNI ANNO LA GARA DI POLO PIU' ALTA DEL MONDO

FRA CHITRALI E GILGITI E' PRESIDATO DA FORZE STATUNITENSI E PAKISTANE

PER IMPEDIRE EVENTUALI INFILTRAZIONI TALEBANE DAL CORRIDOIO AFGHANO.

 

 

 

La Via della seta in bicicletta: 14.000 chilometri da Como a Pechino.

 

             Nel filmato la prima parte della ciclomaratona da Como all'Iran    

 

 

 

 

 

 

                  

                    

 

kirhizistan

         In Kirghizistan verso il passo Torugart

 

Quando a metà gennaio 2005 Beppe Tenti mi ha proposto di progettare un viaggio in bicicletta da Como a Pechino

 ho accettato immediatamente suggestionato dall’idea di poter percorrere

per la prima volta in modo integrale l’itinerario della Via della Seta

al quale avevo già dedicato anni di verifiche sul campo e molte pubblicazioni.

 

Sette intensi giorni e altrettanti notti di studio cartografico

ed ero in grado di consegnare la bozza del primo elenco delle 93 tappe in cui avevo articolato il percorso,

tenendo presente una media giornaliera di 150 chilometri fattibili da atleti allenati e dotati di biciclette da corsa.

L’itinerario scelto rispecchiava la filosofia della manifestazione:

unire le due capitali della seta (Como e Pechino) attraverso il filo dell’antica Via della Seta,

 affiancando all’impresa sportiva  verifiche storico - culturali.

 

La Via della Seta non è però mai stata un’unica direttrice commerciale,

 ma una complessa rete di carovaniere che collegavano l’Estremo Oriente al bacino del Mediterraneo

e che vennero utilizzate o abbandonate nel corso dei secoli a seconda delle circostanze politiche e militari.

Anche oggi, quindi, il seguire la Via della Seta impone delle scelte. La mia è stata fatta sulla base di tre fattori:

 

-  la valenza ambientale e paesaggistica del percorso  per conseguire la massima gratificazione del gesto sportivo,

quindi il raggiungimento di Istanbul attraverso l’impegnativo itinerario costiero della Croazia, dell’Albania e della Grecia.

 

-  l’importanza delle testimonianze storico-culturali incontrate che avrebbero arricchito l’esperienza dei partecipanti

 costituendo un valore aggiunto nel campo della comunicazione (filmati, libro, articoli).

 

-   la congruità con gli itinerari seguiti nel primo viaggio da Matteo e Niccolò Polo e nel secondo viaggio anche da Marco.

Quindi le piste dell’Iran e degli stati ex sovietici dell’Asia centrale compreso il problematico Kirghizistan,

paese privo di una adeguata ricettività alberghiera e ancora dotato in quota solo di strade sterrate.

 

Essendo fissata la partenza per la metà di aprile, il tempo di progettazione e di organizzazione

di un viaggio così complesso era comunque veramente poco e

solo l’esperienza ormai collaudata di Beppe Tenti con i mitici viaggi di Overland era in grado di portarle a buon fine:

 invio del programma ai corrispondenti locali per verificare la sua fattibilità sulla base della ricettività alberghiera,

avvio delle non facili pratiche di ottenimento dei visti, soprattutto per quanto riguardava l’Iran e la Cina,

 ricerca di due pulmini e dei relativi autisti di appoggio al gruppo dei ciclisti,

definizione delle tappe giornaliere in relazione alle risposte dei corrispondenti,

costante collegamento col gruppo Pozzi per la ricerca di sponsor,

per il reperimento dei materiale e dell’equipaggiamento (dalle biciclette alla barrette energetiche),

per la gestione di un apposito sito Internet, per la scelta degli operatori delle riprese filmate.

 

Il 20 di aprile, col suggestivo sfondo delle Grigne imbiancate da una tardiva nevicata,

presso il Santuario della Madonna del Ghisallo, il passo dei ciclisti,

Renato Conti consegnava a Alberto Pozzi il gagliardetto del GS Ghisallo di cui è presidente,

mentre il rettore don Luigi Farina, dopo la messa e la benedizione delle biciclette,

affidava il quadro della Madonna da portare alla cattedrale cattolica di Pechino.

Il 26 aprile la ciclomaratona prendeva le mosse dalla fabbrica del gruppo Pozzi di Inverigo

per le prime tre tappe che l’avrebbe portata al confine fra Italia e Slovenia.

Cominciava la grande avventura, anche se erano ancora da definire l’organizzazione logistica

 in un paese problematico come l’Iran e l’iter burocratico per l’ottenimento di alcuni visti.  

Quello cinese, ad esempio, sarebbe scaduto ancora prima della nostra entrata in Cina

(che per una assurda regola avrebbe dovuto avvenire entro tre mesi dall’emissione).

Da qui la necessità di rinnovarlo (a suon di dollari) per un mese a Biskek, capitale del Kirghizistan,

e per il periodo successivo a Lanzhou in Cina.

 A tutte queste incombenze ha pensato Bepe Tenti che più volte ha raggiunto il gruppo dei ciclisti

per risolvere i vari problemi burocratici. I ciclisti erano supportati in ogni nazione da tre mezzi di appoggio:

due pulmini IVECO, il primo guidato per tutto il percorso da Tommaso Miccoli,

il secondo fino a Istanbul da Antonio Cavalleri e in seguito da Michel Sartori,

 e un pulman dei vari corrispondenti locali rivelatosi prezioso soprattutto in occasione dei trasferimenti  su strada.

Il gruppo base dei ciclisti era formato, oltre che da Alberto Pozzi capo- spedizione,

 da Sergio Bianchi, Walter Bordin, Mario Giussani, Angelo Paganoni, Dario Piasini,

Carlo Pifferi, Alessandro Sironi, Franco Terrenghi, Giovanni Pitzalis, Daniela Travella.

Tranne Dario Piasini e Carlo Pifferi, che hanno dovuto interrompere per un paio di mesi  la maratona a seguito,

il primo di una caduta, il secondo di una occlusione intestinale,

gli altri hanno effettuato integralmente l’itinerario.

 Altri ciclisti si sono uniti al gruppo nella parte iniziale e in quella finale: Renato Barilani, Goffredo Pozzoli, Alberto

 Modesti, Luciano Casati, Achille Mondoni. Ciclisti con funzione di assistenza medica sono stati a turno

 Michele Golia, Luciano Terenghi e Stefano Savio.

Sandro Terraneo ha svolto il compito di assistente tecnico della Ciclomaratona.

 La ciclo-maratona - come da programma - è arrivata a Piazza Tien An Men di Pechino alle ore 12 del 16 agosto

sotto un violento nubifragio che non ha però impedito i festeggiamenti.

 

Durante la manifestazione i miei compiti sono stati molteplici:

garantire come tour leader il corretto svolgimento dell’organizzazione e

 la fornitura di tutti i servizi connessi compresi i rifornimenti durante lo svolgimento della tappa;

realizzare in digitale la documentazione fotografica dell’evento e collaborare alle riprese filmate;

 inviare testi e foto per il Sito Internet da tutti i luoghi dai quali era possibile il collegamento;

 scrivere giorno dopo giorno il testo per questo libro:

una guida che riporta tecnicamente quanto avvenuto in ogni tappa ma nello stesso tempo,

seguendo il filo conduttore del Milione di Marco Polo,

 la descrizione delle testimonianze storico-artistiche incontrate lungo il percorso.

 Quanto rimane oggi della antica Via della Seta e quanto di nuovo  - nel bene e nel male - questo leggendario itinerario

è in grado di proporre al viaggiatore curioso.  

 

Nel complesso abbiamo percorso quasi 13.400 chilometri in 93 tappe

della lunghezza media di circa 144 chilometri l’una, con un dislivello totale in salita di 84.000 metri,

quasi dieci volte l’altezza del Chomolugma, la vetta più alta del Tibet del mondo.

Le “Cime Coppi” della ciclo-maratona sono state il passo Katara (1.700 m) in Grecia, i passi Kizil Dagi gecidi (2.190 m)

 e Sacdagi gecidi (2.230 m) in Turchia, i passi Dolon (3.030 m) e Torugart (3.752 m) in Kighizistan.

Grazie alle biciclette da corsa, alla preparazione, all’allenamento e alla presenza dei mezzi di supporto,

la velocità media giornaliera è stata molto alta: quasi 27 km/h

(da una minimo di 24,10 km/h nel settore balcanico al massimo di 28,85 km/h nella Cina).

Questo fattore, unito alle partenze avvenute quasi sempre di prima mattina per evitare il caldo,

ha permesso di completare la maggior parte delle tappe entro la mattinata

così da avere il resto della giornata disposizione per il riposo e il recupero.

 

Le strade si sono rivelate in genere adatte alle biciclette da corsa.

Le peggiori, pur essendo asfaltate, sono state quelle dell’Albania e del Turkmenistan.

Le più impegnative quelle sterrate e sconnesse del Kirghizistan

che hanno portato fino ai 3752 metri del passo Torugart,

il “tetto” della ciclo-maratona. Le più “scorrevoli” si sono rivelate quelle della Cina

dove per lunghi tratti abbiamo percorso moderne autostrade.

 I pernottamenti sono sempre avvenuti in hotel precedentemente prenotati.

 Solo in Kirghizistan la mancanza di una adeguata ricettività alberghiera ha obbligato

a pernottare in case private e in yurte appositamente montate dall’agenzia locale,

occasioni peraltro preziose per entrare in sintonia con la realtà di quel paese.

 

Il tempo atmosferico ci ha favorito oltre ogni più rosea previsione.

Nel tratto compreso fra l’Italia e la Turchia si sono registrate solo due giornate complete di pioggia.

Qualche temporale pomeridiano ci ha investito nella Turchia orientale,

mentre dall’Iran in avanti il tempo è stato costantemente sereno con punte di caldo davvero torrido (fino a 50 gradi)

solo nei tre giorni del deserto del Kara Kum in Turkmenistan.

In Cina la temuta traversata del bacino del Tarim e soprattutto quella della torrida depressione di Turpan

si è svolta con un clima eccezionalmente mite grazie ad una profonda depressione ciclonica che ha investito tutto il paese.

La temperatura massima non ha mai superato i 40°

 e siamo anche stati beneficiati da qualche “miracoloso scroscio”di pioggia.

Abbiamo quindi trovato le peggiori (e peraltro attese) condizioni climatiche

solo nell’ultima settimana prima di Pechino a causa dell’inquinamento atmosferico

unito ad una temperatura superiore ai 35 gradi e ad una umidità prossima al 95%.

 

 

arrivo a Pechino con ragazza                arrivo a Pechino ridotta

                                                                                                                                                                                                  

L’arrivo a Pechino sotto la pioggia festeggiato da simpatiche cinesi

 

esterno con madonna io cm    Kasghagar 073

 

L’immagine della Madonna del Ghisallo portata a Pechino e donne uygure a Kasghar, oasi cinese confinante con l'Afghanistan

 

Immagine 579 - Copia

 

Paolo riprende il mio atto di coraggio: l’assaggio del kumis (latte di cavalla fermentato).

 

 

       

sotto l'Ararat ridotta    

     Passaggio ai piedi dell’Ararat verso l’Iran (Turchia)

 

 

cina 3 095

 

Conferenza stampa all’arrivo a Pechino presso la Casa del Popolo

 

 

 

 

 

 

cina ridotta

  il famoso salto  

a

  papa   cammelli e camion   trincea    sentiero italia ridotta   bambini   arrivo a jang dong 024   mar al 1   conferenza    riquadro_piccolo_home  
                                                 
 

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